Serata magica quella del 21 giugno al Museo Archeologico di Sibari: immersi nella storia e nella natura in compagnia dell’Orchestra “Jonio Pelagos” magistralmente diretta dal Maestro Rodolfo La Banca. Mozart, clarinetti di legno, storia, e una maliziosa falce di luna crescente.
"Esiste un punto in alto, dove la bellezza e l’amore si toccano: lì comincia la musica…", questo afferma lo scrittore Stefano Faraoni nel suo ultimo lavoro, “Le stimmate negli occhi”. La sera del 21 giugno, solstizio d’estate, nello splendido scenario che offre il Museo di Sibari, abbiamo finalmente potuto cogliere appieno il senso di quelle parole.
La serata è dolce, tanto da fare apprezzare anche il vento di scirocco che ha fatto coprire i numerosi presenti. Guardandoci intorno, salutando gli amici, chiacchierando del più e del meno, aspettiamo che lo spettacolo inizi. Alzando gli occhi, dal finestrone del Museo scorgiamo i grandi dolium e non possiamo fare a meno di chiederci: chissà quanti legumi, cereali, olio o vino hanno trasportato? Dentro di noi sorridiamo: siamo nel “Mito di Sibari” ed è inevitabile che la mente vaghi nel tempo e nell'anima.
Quando il Direttore d’Orchestra Rodolfo La Banca entra in scena, il gioco di luce dell'imbrunire comincia a creare quell'effetto cartolina che rende tutto quasi surreale. Il Maestro ha un clarinetto di legno in mano dal sapore antico. “Le sonorità calde e fluide e la grande ricchezza espressiva del clarinetto sono il simbolo del romanticismo musicale dell'Ottocento”, dice il Maestro. E chissà perché, la scelta ci sembra davvero azzeccata per quel luogo.
La musica inizia proprio mentre il chiarore del giorno finisce il suo turno lasciando il testimone al crepuscolo che lentamente ingoia il paesaggio, mentre in cielo accende la luna. Già la luna. Come parlare del suo essere con noi ad ascoltare Mozart, senza cadere nel banale, nel luogo comune? Ma alla domanda risponde la musica stessa. Mentre i clarinetti riempiono di note la sera che avanza, la mente richiama tutti i temi possibili ispirati alla suadente Selene. Il primo, per noi inguaribili romantici, non può essere che il “Notturno Op. 9 n. 2” di Chopin, il capolavoro dove l’amore per la sua donna e la bellezza della notte, si riescono a vedere attraverso le note. Poi pensiamo “Al chiaro di luna” di Beethoven; alle atmosfere rarefatte di Debussy, sempre ispirato dal chiarore della notte quando ha scritto "Clair de lune", il terzo movimento della Suite Bergamasque.
E intanto che l’Orchestra “Jonio Pelagos” continua a deliziarci le orecchie e lo spirito, ci rendiamo conto che è impossibile non soffermarsi a guardare quel falcetto che annuncia la luna nuova. Sembra che sia appoggiato nel cielo quasi per sbaglio: piccola unghiata nel cielo zaffiro che oscura le stelle.
A pensarci bene, a costo di sembrare smielati e banali, la luna è sempre uno spettacolo. Uno dei tanti che il cielo ci offre gratuitamente. Guardandola ci chiediamo quando quella luce da piccola falce si farà semicerchio per poi avviarsi a diventare cerchio. E così scopriamo anche di essere in eterna, trepida attesa della luna piena. E il perché lo conosciamo. La luna crescente infonde calore e speranza: esprime la certezza che è in arrivo un chiarore più grande, è la prospettiva di un evento più bello. Ed è in questa attesa della regina della notte che recuperiamo nella memoria il “Flauto magico” di Joannes Chrysostomus Wolfgangus Theophilus Mozart. Theophilus e non Amadeus. "Amadeus - spiega il Maestro La Banca - è la traduzione latina del nome Theophilus (dal greco Theophilos, ossia "colui che ama Dio" o anche "colui che è amato da Dio").
I nostri pensieri, cullati dalle note del clarinetto, qui fanno il paio con le parole del Maestro La Banca che racconta, con la semplicità dei grandi, che fu proprio l’immenso Mozart alla fine del Settecento a inserire il clarinetto nell'orchestra. Mozart fu tra i primi a comprendere le potenzialità di questo strumento, contribuendo al suo ingresso di diritto nel repertorio classico. E nel piccolo anfiteatro antistante al Museo Archeologico della Sibaritide, luogo che odora di antichissimi ricordi, era d’obbligo rendere omaggio a Mozart non solo con la musica ma anche con uno strumento che facesse compiere un tuffo nel passato. “Questo strumento – spiega il Maestro La Banca - ha sette chiavi rispetto ai più moderni, che arrivano a 27. Certo è più difficile da suonare, ma io lo trovo più umano”.
“Più umano”. Ci è piaciuta molto questa espressione che ci induce a un’altra riflessione sulla musica e sull’evoluzione dei tempi. Rispetto al passato, l’approccio alla creazione di strumenti musicali è cambiato radicalmente. La moderna cultura, soprattutto quella occidentale, ha introiettato priorità come crescita, sviluppo, ricerca del nuovo come valori assoluti. Grandi filosofi del Novecento hanno definito la nostra epoca come l’età della tecnica, un periodo che ha priorità (o valori) radicalmente diversi da quelle precedenti. Ma questo non significa che i valori del passato siano migliori di quelli di oggi: sono semplicemente diversi.
Pure gli strumenti musicali, dunque, nel tempo hanno continuato a evolversi seguendo le esigenze estetico-espressive che man mano andavano manifestandosi nella società e tra i compositori. Probabilmente oggi sono la maggiore la tendenza di suonare in diverse tonalità, la ricerca spasmodica di ottenere acustiche sempre migliori e una maggiore maneggevolezza dello strumento, a far evolvere velocemente anche gli strumenti musicali più noti e tradizionali come il flauto e il clarinetto. Ma tant'è! La musica è un linguaggio e, in quanto tale, anch'essa è in continua evoluzione per rimanere al passo con i tempi, per migliorarsi e migliorarci.
Nel frattempo in scena è entrato il violoncello. Violoncello e clarinetto. Non sappiamo quanto possano valere le nostre elucubrazioni mentali in questo momento, ma il dialogo tra questi due strumenti è capace di coinvolgere l’ascoltatore in uno scambio di emozioni intimo e serrato. Un dialogo dolcemente malinconico che non sottace l’eleganza e la bravura dei due musicisti.
Insomma, siamo grati alla Direzione del Museo Archeologico Nazionale della Sibaritide per questa “Festa della musica”. E un "grazie" grande quanto il mondo va al Maestro La Banca e alla sua ottima Orchestra. Non scriviamo di più perché le emozioni difficilmente trovano le parole giuste. E poi le emozioni non si raccontano: si vivono. Tra l'altro la musica non ne ha alcun bisogno, perché, come disse Richard Wagner essa "inizia dove il potere della parola finisce".
Eleonora Gitto
Giornalista – Webmaster
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